Il georadar, un illustre misconosciuto

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Ground Penetration Radar Ground Penetration Radar

Se c'è una tecnica geofisica che non gode della fama che gli spetterebbe di diritto, almeno in Italia, questa è la tecnica Georadar o, più correttamente Ground Penetrating Radar (Conyers and Goodman 1997; Daniels 2004).

La tecnica che, come vedremo è efficace quanto affascinante, è stata spesso bollata come di dubbia utilità, che non "fa vedere" gli oggetti sepolti, che ha un sacco di controindicazioni, che non arriva abbastanza in profondità. In realtà tale fama scaturisce da un utilizzo delle strumentazioni non conforme alla rigorosa teoria che vi è alla base. Al contrario, in mani esperte, il Ground Penetrating Radar è uno strumento preciso ed efficace e spesso rappresenta l'unica reale possibilità diagnostica.

A tal proposito consiglio di effettuare ricerche su questa tecnica utilizzando la definizione internazionale o il suo acronimo GPR. Resterete sbalorditi dalla notevole quantità di articoli scientifici che vengono continuamente redatti. Andate pure a sbirciare tra le pagine della European GPR Association.

Evitando il ricorso a complicate formule, diciamo che la tecnica si basa sull'invio di onde elettromagnetiche nel sottosuolo mediante un'antenna trasmittente e sulla captazione dei segnali riflessi dalle interfacce sepolte mediante un'antenna ricevente. A volte le due antenne sono costituite da un solo dispositivo che si commuta automaticamente da trasmittente a ricevente e viceversa. Altre volte si tratta effettivamente di due antenne. Fatto sta che, essendo queste racchiuse entro uno stesso involucro, alla fine ciò che è visibile dall'esterno è una scatola in materiale plastico che si appoggia sul terreno. Completano la dotazione un carrello provvisto di odometro (un misuratore di distanza), e un display che può essere un normale laptop. Ecco due esempi di strumentazioni comuni:

Ground Penetration RadarGround Penetration Radar

Se volete vedere altri apparati potete visitare i siti di questi produttori:

Vedrete molte configurazioni, antenne dalle forme più improbabili, sistemi montati su carrello ma anche su automobile o furgone, ma tutti si basano sul principio descritto. Osservando le immagini dei diversi dispositivi, si può notare come alcune antenne siano grandi al limite della manovrabilità, altre molto piccole, tanto da stare in una mano. Perché?

Un aspetto che molti ignorano è che non esiste il georadar, ma esistono sistemi georadar costituiti da unità di controllo, odometro e diversi set di antenne. Così come un fotografo cambia obiettivo in funzione dello scopo della fotografia, allo stesso modo un operatore di GPR cambia la sua antenna. Se per gli obiettivi fotografici il parametro più importante è la lunghezza focale, per le antenne la "frequenza centrale" assume un ruolo...centrale, per l'appunto! La frequenza centrale è un numero che ci da due informazioni: la larghezza di banda di un'antenna e la frequenza del centro di questa banda. Se un'antenna ha una frequenza centrale bassa, ad esempio 50 MHz, avremo a disposizione uno strumento con una buona profondità di esplorazione (dell'ordine dei 5-10 m nei comuni materiali geologici) ma pagheremo pegno con una scarsa risoluzione spaziale: non potremo vedere oggetti più piccoli di una certa dimensione (più o meno 10-20 cm). Al contrario, disponendo di un'antenna con frequenza centrale alta, ad esempio 900 MHz) potremo osservare oggetti molto piccoli come le barre di ferro nel cemento armato, ma non andremo molto oltre il mezzo metro di profondità!

Quindi, la scelta dell'antenna è fondamentale per il successo di una prospezione!

Generalmente, nella ricerca di sottoservizi o a scopo archeologico si utilizzano antenne che vanno dai 200 MHz agli 800 MHz. Chi di noi ha avuto la fortuna di assistere ad una prospezione GPR per la ricerca di sottoservizi o a scopo archeologico si è certamente divertito a vedere un signore, abbigliato in modo professionale, portare a spasso con solerzia il suo GPR montato generalmente su un carrellino su e giù per una strada o un piazzale. In realtà, dietro a quei gesti apparentemente banali avviene un vero e proprio miracolo basato sulle equazioni di Maxwell e sulle leggi di Snell. Le onde elettromagnetiche prodotte dall'antenna colpiscono i bersagli nel terreno (target) e, riflesse alle interfacce di questi, riaffiorano in superficie per essere captate mentre l'antenna trasla spinta dall'operatore. Sul display prende consistenza un'immagine che è molto simile ad un'ecografia.

Ground Penetration RadarGround Penetration Radar

Più che di una immagine quindi si tratta di un diagramma o meglio di un "radargramma" in cui l'asse x rappresenta la distanza percorsa dall'antenna, l'asse y mostra la profondità... pardon, il tempo!

Anzi un tempo doppio espresso in nanosecondi, quello che occorre al segnale per andare dall'antenna al target e tornare indietro dopo aver subito una riflessione sull'interfaccia del target stesso. L'asse y mostra in realtà anche l'intensità del segnale ricevuto in falsi colori oppure affiancando le diverse "ondine" prodotte man mano che si va avanti nell'acquisizione. Ecco una pregevole spiegazione di cosa sono i radargrammi.

A questo punto la domanda dovrebbe essere già nella mente dei più: e la profondità? Come si capisce a quale profondità si trova il target? Per saperlo bisogna sapere la velocità con cui si propaga l'onda elettromagnetica nel sottosuolo (spesso si parla di "velocità del sottosuolo" riferendosi ad essa) che dipende a sua volta dalla "costante dielettrica" (epsilon) del sottosuolo. Di seguito due tabelle di costanti dielettriche dei diversi materiali.

Allora tutto risolto! Si prende la costante dalla tabella in base al sottosuolo e si ottiene la velocità con cui si convertono i tempi in profondità! Niente di più sbagliato. Lo stesso materiale può presentare valori molto diversi della costante dielettrica a seconda del suo contenuto d'acqua, presenza di metalli e ossidi, granulometria, volume dei vuoti, ecc. Occorre quindi stimare la costante dielettrica del sito e questo si può fare con il metodo delle iperboli, con il metodo del riflettore noto oppure con particolari tecniche di acquisizione che si effettuano con due antenne separate come il Common Mid Point (CMP) e il Wide Angle Reflection and Refraction (WARR).

Nella stragrande maggioranza dei casi, una stima con il metodo delle iperboli è più che sufficiente per ottenere stime ragionevoli della costante dielettrica a patto che il nostro radargramma ne contenga almeno una! Ma cosa sono queste iperboli? Un operatore di GPR conosce molto bene questa figura geometrica perché è associata a strutture sepolte molto compatte nel piano della sezione GPR come tubazioni, piccole cavità, cavi elettrici, condotte, ecc.

Potete trovare qui una carrellata di iperboli di riflessione. La geometria di acquisizione, la velocità di traslazione dell'antenna e il lobo di radiazione della stessa, producono, in corrispondenza di questi oggetti che vengono definiti "riflettori puntiformi", una caratteristica figura a forma di iperbole, definita appunto "iperbole di riflessione". La forma più o meno aperta di una iperbole di riflessione ci da una buona indicazione della velocità del sottosuolo posto al di sopra del vertice dell'iperbole stessa e quindi sulla costante dielettrica. All'interno dei più comuni software di elaborazione e interpretazione è possibile sovrapporre un'iperbole sintetica a quella reale e, modificarne l'apertura cambiandone la velocità finché le due iperboli non si sovrappongono perfettamente. La velocità che consente la perfetta sovrapposizione delle iperboli sarà quella del sottosuolo. Se in un radargramma ci sono molte iperboli, sarà possibile stimarne la velocità nei diversi punti con una buona approssimazione.

Risolto questo problema, se ne intravvede un altro: se la forma di un tubo appare come un'iperbole, come si fa a capire come appariranno nel radargramma oggetti con forme più complesse? In realtà esistono abachi su come appaiono le forme più comuni all'interno di un radargramma (un canale, un dosso, uno scavo, ecc), ma un operatore con esperienza è in grado di "tradurre" qualsiasi forma nell'oggetto reale. In realtà si può fare di più: "processare" il radargramma! E con questo non intendo metterlo al banco degli imputati, ma sottoporlo a "processing" o a "processamento" o "elaborazione". Il processing è una fase importantissima in una campagna GPR. Ecco qui un manuale molto ben fatto su come muovere i primi passi con il processing.

Con il processing si possono fare un sacco di operazioni per rendere più intellegibile un radargramma: correzione del tempo di zero, filtro in frequenza, background removal e migrazione sono le operazioni più comuni, ma è possibile manipolare più o meno pesantemente un radargramma in modo da mostrare al meglio l'informazione che ci occorre. Tra tutte le operazioni la migrazione è tra quelle più importanti perché focalizza il radargramma collassando le iperboli nel vertice e riconduce tutte le riflessioni ad una forma più simile a quella del riflettore (oggetto reale che le ha prodotte).

Esistono diversi software per effettuare il processing dei radargrammi. Eccone alcuni:

Occorre precisare che il processing non aumenta il contenuto informativo di un radargramma, ma lo evidenzia. Se un radargramma è acquisito male, difficilmente potrà essere migliorato con il processing. Un processing eseguito male può al contrario distruggere le informazioni che ci occorrono (ad esempio un background removal può eliminare preziose informazioni stratigrafiche!). Ora dovrebbe essere chiaro perché fin troppo spesso in passato le prospezioni GPR non hanno dato il risultato sperato. Non è sufficiente traslare lo strumento sul terreno per avere informazioni affidabili ma occorre:

  • Stabilire la migliore geometria di acquisizione per il caso in esame;
  • Scegliere la frequenza centrale dell'antenna rispetto alle dimensioni e alla profondità attese del target;
  • Stimare la "velocità del sottosuolo" con il metodo più adatto al caso in esame;
  • Processare il radargramma stando attenti a non distruggere preziose informazioni.

La non conoscenza di tutti questi fattori ha portato molti operatori inesperti ad affidarsi troppo ai software, a seguire pratiche dettate dalla prassi e non dall'applicazione dei principi teorici di base, a non processare affatto i radargrammi, a non avere idea della profondità raggiunta dalla prospezione, a non valutare correttamente riflessioni aeree o artefatti. Purtroppo oggi non esiste un "patentino" o un certificato che possa attestare la competenza e la preparazione degli operatori GPR, ma questo se vogliamo è un problema che affligge tutta la geofisica. In ogni caso, se una prospezione non da i risultati previsti, non date la colpa alla tecnica ma cercate di capire se il vostro operatore GPR ha seguito le poche basilari regole discusse poc'anzi.